Nei lavori successivi il colore scompare e tutto è bianco: una linea sinuosa e liberty, in rilievo, scolpisce concetti astratti come se fossero concreti e presenti. Alla scomparsa del colore sopperisce una ricerca materica che le riproduzioni foto-grafiche, anche accurate, non possono rendere fedelmente: il fondo dei quadri s’ispessisce e s’ingessa, pastoso ma non ruvido, reale e astratto nello stesso tempo. Come Dante nel Paradiso, lo sforzo dell’artista è di rendere vero e vivo l’irrappresentabile, l’inconcepibile che esiste al di là delle coordinate terrene. Permane tuttavia in Cristallizzazione o in Energia femminile un residuo di stilizzazione, un’eleganza esteriore che potrebbe essere scambiata per calligrafismo.
La serie di lavori dal comune titolo Unione si incarica di stabilire il mood definitivo: abbandonato il residuo di stile fin de siécle, il tratto si fa primordiale e archetipico, atemporale; la linea nervosa e irregolare incide profondamente il piano e fa risaltare la consistenza della materia. A questo punto possono pure tornare, le figure, a tal punto appartengono ad un altro pianeta, un pianeta psichico (non per niente abbiamo titoli come Pesci/Inconscio). Esse si affacciano su questo mondo, ma non vi appartengono. Semmai, le grandi dimensioni pro-pongono questi lavori come specchi, specchi non fedeli ma specchi di Alice, oppure finestre su mondi paralleli, prolunga-menti magici dove addentrarsi. La conquista della tridimensionalità, come ci insegna Rothko, è un fatto anche di dimensioni: navigare i quadri, perdercisi… La grande tavola La mamma è da considerare uno degli esiti più audaci e più alti dell’intera produzione di Yolanda.
Controllo, Abbraccio, La terra recuperano un colore che è appunto terra, materialità, con un tratto barbarico che ricorda la corrente di Novecento (Tozzi, Campigli). Si tratta di una figurazione che ha intenti solo metaforici e non descrittivi, pro-duce maschere o avatar con cui entrare in comunicazione (spiritica?), categorie dell’essere.
Non ci sono modelli e punti di riferimento, nella ricerca avviata da Yolanda. Sono lavori solitari e personali, non assimilabili a figure specifiche, cui non può essere attribuita alcuna derivazione diretta. Ci si può trovare qualcosa dei collages di Matisse o del Braque meno conosciuto, quello figurativo del secondo dopoguerra, in cui colombe viaggiano in cieli aboliti. Le tematiche e l’accentuata stilizzazione delle shilouettes rimandano al Virgilio Guidi degli Incontri e delle Attese, ma senza asprezze e beckettiano nichilismo. E ci sono echi della lezione catalana (da Tapiès a Barcelò) nello spessore degli strati, ottenuto attraverso l’accorto uso dei materiali: gessi, crete e terre assorbono luce e luminosità e creano un limbo materico, una base sul cui piano i contorni stilizzati galleggiano.
Comprendere questo mondo è anche una questione tattile, atmosferica. E l’ultima, recentissima fase, ancora aperta e in pieno sviluppo, si lancia decisamente verso l’occupazione dello spazio. Forza interiore e Conoscenza di sè sono esperimenti, ipotesi di lavoro ancora in fieri, ma lasciano presagire esiti di grande complessità legati ad una percezione multipla, e non più frontale, delle opere. È giunto il momento, per Yolanda, di irretire l’attonito spettatore, di convertirlo, di coinvolgerlo fisicamente in questo iperspazio la cui costruzione appare quasi il risultato di un modus operandi scientifico, se consideriamo la linearità e la coerente intensificazione delle sperimentazioni condotte.
Immagino che una mostra di Yolanda, a questo punto, si presenterebbe come un universo concentrato di tende, veli, tavole, specchi, opacizzazioni stratificate per accogliere gli spiriti, creare una comunione psichica, coltivare una speranza di salvezza collettiva che l’ottusa ragione non può cogliere.
Enrico Formica