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Estratti

YOLANDA RIESCE AD ELEVARE L’ANIMO, ASPIRA AL BUONO OLTRECHÉ AL BELLO, TRASCINA AL DI LÀ DEL REALE, IN UN MONDO SPIRITUALE”. IN UN’ALTRA DIMENSIONE, CHE ATTRAVERSO L’OSSERVAZIONE ESTERNA RIPORTA AL MONDO DELL’INTERIORITÀ.

Exposición

A G U A

Palacio de la música
Gata de gorgos
Mostra

Anima Libera

Un’“Anima libera” come lei

Uno specchio del sentire di Yolanda Mediavilla, una spagnola che della sua terra imprime la delicatezza nelle tele. L’anima di chi coglie l’essenza dei quadri respira, in un’atmosfera empatica tra l’espressività dell’artista e l’impressione raccolta dall’osservatore.
Difficile riuscire a scolpire nella tela il senso di una spiritualità e di un dolce sentire. Ma Yolanda riesce proprio in questo intento attraverso l’uso tenue dei colori, il bianco in primis.
Il senso della maternità attraverso segni appena accennati di un corpo femminile di sposa in bianco al fianco di un tondo grigio. La passione di Cristo attraverso gocce dorate che piangono il corpo appena accennato come figura angelica.
La barca sospesa come un occhio gigantesco che ti osserva da vicino. Jolanda riesce ad “elevare l’animo – come diceva Enrico Formica, curatore della mostra – aspira al buono oltrechè al bello, trascina al di là del reale, in un mondo spirituale”. In un’altra dimensione, che attraverso l’osservazione esterna riporta al mondo dell’interiorità.
Con delicatezza e con coraggio, come è Yolanda nella vita. Una mostra: lo specchio di un’anima.

Simona Pardini

2011

Un Anno di Crescita

La vita ci coinvolge troppo. Non riusciamo a rallentare, a concentrarci, a riflettere sulla sua vera essenza. Siamo travolti da presunti impegni, dalla fretta, da miti mascherati dal buon senso. Eppure tutti noi abbiamo provato a volte la percezione della finitezza dell’esistenza, del suo essere rinchiusa nella gabbia dello spazio e del tempo, limiti insormontabili. Non occorre leggere Essere e tempo per cogliere intuitivamente la differenza tra Sein e Dasein, bastano e avanzano la Prima lettera di san Paolo ai Corinzi (videmus per spaecula in aenigmate) o L’infinito di Leopardi.
Esiste dunque un tempo dell’essere, fuori dall’esistere, che non coincida con la morte? Per quanto la ricerca di questa dimensione sia concettualmente folle e impossibile, non possiamo non sentire almeno il dolore della sua assenza.
Con la sua attività di pubblicitaria, con la sua vita privata, Yolanda partecipa al suo tempo, al Dasein. Ma non coi suoi quadri. Con i suoi quadri vuole creare un mondo che sconfigga il tempo, privo di coordinate spaziali, di riferimenti alla realtà transitoria e al presente. Come arrivarci? Attraverso lo sviluppo di potenzialità insite nella creatura umana e mai portate alla luce, secondo l’insegnamento di Rudolf Steiner che da tempo Yolanda ha fatto proprio: un’ascesa che non mortifica i sensi, ma li sviluppa tramite un grado maggiore di attenzione e di concentrazione.
Questa sfera ultrasensibile è un Paradiso raggiunto non per forza di fede, ma attraverso una disciplina spirituale. Così la sua arte usa la presunta fragilità del sesso debole, la sensibilità, la delicatezza, per costruire un mondo essenziale, privato dei drammi maschili della violenza, della politica, della guerra, del denaro, degli appetiti. Naturalmente non per sottrarsi alle passioni ed ai sentimenti, ma per costruire una più corretta gerarchia dei valori, in cui la positività delle relazioni interpersonali acquisti una preminenza assoluta.
Se si dispongono le opere di Yolanda in ordine cronologico, diventa evidente un progressivo processo di ascesi, di rastremazione, di prosciugamento. Quali elementi innervano questo mondo strutturalmente etereo, slavato, senza colore e senza cose? La spiritualità umana, che viene resa attraverso una radicale stilizzazione della figura, e l’utopia dell’unione, dell’ab-braccio, dell’incontro.
Così la sua storia di artista (dopo una preistoria, in realtà, lunga e ricca di soddisfazioni, di felice abbandono al colore e alla vita) parte dalla Historia, da vaghi ma inequivocabili riferimenti spagnoli, ancora legati ad un reale filtrato ed interpretato, già decantato dei suoi elementi di più vistosa riconoscibilità.
Ma presto il mondo scompare, with a whisper, not with a bang, come dice Pound, e lo sfondo è sempre più rarefatto, di-venta un deserto, un vuoto, un infinito. Si osservano le figure farsi progressivamente fantasmi sempre meno identificabili, creature col respiro di un’alba che domani per tutti / si riaffacci, bianca ma senz’ali / di raccapriccio (Montale, Primavera hitleriana). La scena di Ascensione è enigmatica, la natura delle figure coinvolte misteriosa come simboli religiosi di antiche ci-viltà. Ferita e Kyoto sono già indicazioni concettuali, e non didascalie esplicative: il sangue dell’una e la mandorla degli occhi dell’altra sono tracce, frecce geografiche per nuove partenze.

Nei lavori successivi il colore scompare e tutto è bianco: una linea sinuosa e liberty, in rilievo, scolpisce concetti astratti come se fossero concreti e presenti. Alla scomparsa del colore sopperisce una ricerca materica che le riproduzioni foto-grafiche, anche accurate, non possono rendere fedelmente: il fondo dei quadri s’ispessisce e s’ingessa, pastoso ma non ruvido, reale e astratto nello stesso tempo. Come Dante nel Paradiso, lo sforzo dell’artista è di rendere vero e vivo l’irrappresentabile, l’inconcepibile che esiste al di là delle coordinate terrene. Permane tuttavia in Cristallizzazione o in Energia femminile un residuo di stilizzazione, un’eleganza esteriore che potrebbe essere scambiata per calligrafismo.
La serie di lavori dal comune titolo Unione si incarica di stabilire il mood definitivo: abbandonato il residuo di stile fin de siécle, il tratto si fa primordiale e archetipico, atemporale; la linea nervosa e irregolare incide profondamente il piano e fa risaltare la consistenza della materia. A questo punto possono pure tornare, le figure, a tal punto appartengono ad un altro pianeta, un pianeta psichico (non per niente abbiamo titoli come Pesci/Inconscio). Esse si affacciano su questo mondo, ma non vi appartengono. Semmai, le grandi dimensioni pro-pongono questi lavori come specchi, specchi non fedeli ma specchi di Alice, oppure finestre su mondi paralleli, prolunga-menti magici dove addentrarsi. La conquista della tridimensionalità, come ci insegna Rothko, è un fatto anche di dimensioni: navigare i quadri, perdercisi… La grande tavola La mamma è da considerare uno degli esiti più audaci e più alti dell’intera produzione di Yolanda.
Controllo, Abbraccio, La terra recuperano un colore che è appunto terra, materialità, con un tratto barbarico che ricorda la corrente di Novecento (Tozzi, Campigli). Si tratta di una figurazione che ha intenti solo metaforici e non descrittivi, pro-duce maschere o avatar con cui entrare in comunicazione (spiritica?), categorie dell’essere.
Non ci sono modelli e punti di riferimento, nella ricerca avviata da Yolanda. Sono lavori solitari e personali, non assimilabili a figure specifiche, cui non può essere attribuita alcuna derivazione diretta. Ci si può trovare qualcosa dei collages di Matisse o del Braque meno conosciuto, quello figurativo del secondo dopoguerra, in cui colombe viaggiano in cieli aboliti. Le tematiche e l’accentuata stilizzazione delle shilouettes rimandano al Virgilio Guidi degli Incontri e delle Attese, ma senza asprezze e beckettiano nichilismo. E ci sono echi della lezione catalana (da Tapiès a Barcelò) nello spessore degli strati, ottenuto attraverso l’accorto uso dei materiali: gessi, crete e terre assorbono luce e luminosità e creano un limbo materico, una base sul cui piano i contorni stilizzati galleggiano.
Comprendere questo mondo è anche una questione tattile, atmosferica. E l’ultima, recentissima fase, ancora aperta e in pieno sviluppo, si lancia decisamente verso l’occupazione dello spazio. Forza interiore e Conoscenza di sè sono esperimenti, ipotesi di lavoro ancora in fieri, ma lasciano presagire esiti di grande complessità legati ad una percezione multipla, e non più frontale, delle opere. È giunto il momento, per Yolanda, di irretire l’attonito spettatore, di convertirlo, di coinvolgerlo fisicamente in questo iperspazio la cui costruzione appare quasi il risultato di un modus operandi scientifico, se consideriamo la linearità e la coerente intensificazione delle sperimentazioni condotte.
Immagino che una mostra di Yolanda, a questo punto, si presenterebbe come un universo concentrato di tende, veli, tavole, specchi, opacizzazioni stratificate per accogliere gli spiriti, creare una comunione psichica, coltivare una speranza di salvezza collettiva che l’ottusa ragione non può cogliere.

Enrico Formica

Yolanda Mediavilla Capilla è presente su:

Arpinè Sevagian

I Giardini dell’Arte

Fascino e realtà da Arshile Gorky a oggi

I edizione  dicembre 2016

A cura di
Arpinè Sevagian
Testi di
Arpinè Sevagian, Araxi Ipekjian, Sole Scalpellini, Stella Neri

Le opere di
120 artisti
220 pagine
180 immagini in bn e a colori

disponibile in formato e-book e cartaceo